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Francesco Bettazzi torna in BSL San Lazzaro con un incarico specifico nel Settore Giovanile che presto presenteremo.

Bidi è carichissimo e sta sviluppando un progetto che metterà l’accento sulla crescita individuale dei ragazzi: lui stesso ce ne parla qui, regalandocene un’anticipazione.

 

“Qualche settimana fa ho trascorso un paio d’ore piacevoli con un mio caro amico, coach mai banale, che ha appena vinto un campionato. Tra un bicchiere di rosso e un tris di primi, abbiamo festeggiato la sua promozione, ma a quella tavola è stato naturale chiederci anche quale sia il senso di allenare, in particolare per chi, come noi, non lo fa da professionista. La realtà è che, nonostante la nostra passione intatta, entrambi stavamo combattendo l’amara tentazione di lasciare per sempre panchine, campo e spogliatoi: le esigenze del lavoro “vero”, il troppo tempo rubato alle famiglie, i tanti interessi di due curiosoni come noi, infine e soprattutto (in vino veritas!) la frustrazione insopportabile che negli ultimi mesi abbiamo provato in palestra, quando ci veniva richiesto “semplicemente” di gestire e amministrare. E la colpa non è nemmeno delle rispettive società che ci hanno tesserato, anzi, hanno storicamente ragione loro: in certe categorie seniores, non solo di livello basso, e con certi tipi di squadre, spesso quelle forti, è più facile – e forse anche più vincente – se il coach si limita a fare “manutenzione” al suo gruppo di giocatori, accettando nel contempo molti compromessi con i pochi turni settimanali, con le legittime (sottolineo legittime) esigenze di trentenni dopolavoristi e con realtà per le quali i giovani sono quote da riscuotere o le ultime ruote del carro, o meglio, della panchina.

Il senso di allenare, in fondo, per tanti coach come noi è molto semplice: entrare in palestra e uscirne due ore dopo tutti cresciuti, i nostri giocatori ma pure noi. E appunto per questa mia vocazione, mi sarebbe dispiaciuto smettere adesso, senza aver avuto l’opportunità di tradurre in un percorso concreto una mia visione di settore giovanile maturata in questi ultimi anni: per cominciare, anche a scapito dei risultati di squadra (sovrastimati a livello giovanile), credo nello sviluppo delle potenzialità individuali tecniche, fisiche e mentali (quanto la “testa” sia sottovalutata lo sa bene chi invece riesce ad allenarla come un fondamentale tecnico). Credo anche che gli errori del giovane giocatore siano sfide peculiari da superare e non sintomi generici da curare o, addirittura, da ignorare per mezzo di una sostituzione nel corso della partita; di conseguenza, non posso credere che il coach sia un ingombrante generale d’armata; noi allenatori, infatti, dobbiamo essere più di ogni altra cosa una sorta di pedagogo maieutico, motivato a tirare fuori da ciascun ragazzo la sua ineguagliabile anima, la passione incontaminata e magari anche quei talenti (non per forza solo tecnici) che nemmeno lui sa di possedere. In definitiva, credo esistano strade ancora in parte inesplorate per far giocare in un’unica squadra talento e volontà, emozioni e sudore, corpo e mente, responsabilità e divertimento, autonomia e regole, tecnica e didattica, performance e risultato, settore giovanile e giovani, giocatori e genitori, basket e vita.

Ringrazio, quindi, in particolare il presidente Fabbri, che mi ha regalato il motivo per non smettere di allenare, consentendomi di tornare in una società nella quale la ricerca dell’eccellenza attraverso il lavoro è un’ambizione morale; ma ancora di più lo ringrazio per aver accettato la sfida di iniettare, nell’organismo sano di uno dei migliori settori giovanili in Italia, un’idea coraggiosa e sperimentale non solo di pallacanestro, che presto presenteremo e di cui, per ora, anticipo solo il nome, impegnativo quanto evocativo: “BSL High School”.

Francesco Bettazzi